mercoledì 26 ottobre 2011

L'imprenditore, gli altri soggetti che operano nell'azienda e l'organizzazione aziendale

Oggi durante l'ora di economia aziendale abbiamo letto le pagine relative all'imprenditore, gli altri soggetti che operano nell'azienda e l'organizzazione aziendale.

I soggetti che operano nell'azienda:

Le persone costituiscono uno degli elementi fondamentali che caratterizzano l'attività aziendale. Possiamo distinguere tali soggetti in:

- investitori (proprietari, soci, azionisti) e, quindi, portatori di capitale di rischio;
- amministratori che possono coincidere con i proprietari oppure essere legati all'azienda da un rapporto di lavoro.
- lavoratori subordinati o dipendenti;
- lavoratori autonomi.

La persone che dà vita all'azienda, organizza e coordina i fattori produttivi assumendosi i rischi dell'attività e l'imprenditore. Egli predispone le strutture organizzative idonee al raggiungimento degli obiettivi prefissati e investe i suoi capitali nella prospettiva di ottenere risultati economici positivi. E' possibile, però, che, nonostante le previsioni favorevoli, l'attività produca risultati economici negativi.

Esiste infatti, in qualsiasi attività economica, un rischio patrimoniale legato al fatto che il capitale investito possa ridursi a causa dei risultati economici negativi dell'attività aziendale.

E' imprenditore quella persona (o quel gruppo di persone) che, disponendo di capitali, concepisce e realizza l'azienda, ne organizza e dirige l'attività assumendosi il rischio patrimoniale.

L'imprenditore individuale o i soci non sempre amministrano personalmente l'azienda; essi, sempre più frequentemente, affidano tale compito a persone che hanno conoscenze e competenze specializzate, legandone all'impresa con un rapporto di subordinazione. Nasce così la figura del manager.
In questa nuova situazione l'imprenditore conserva la titolarità giuridica dell'impresa (continuando così a rischiare il proprio capitale), ma delega le funzioni organizzative e amministrative a "professionisti della gestione", i manager.
L'esercizio dell'attività aziendale comporta l'utilizzo di risorse umane, fornite dai lavoratori dipendenti e autonomi.

I lavoratori dipendenti (art. 2094 c.c.) sono legati all'impresa da un vincolo di subordinazione, in quanto vi operano stabilmente ricevendo in cambio una retribuzione prestabilita. Essi possono essere distinti in dirigenti, quadri, impiegati e operai; per il lavoro svolto percepiscono una retribuzione, liquidata dall'azienda.
I lavori autonomi forniscono prestazioni che richiedono conoscenze specialistiche (consulenze, progettazione di lavori, assistenza tecnica, ecc.); sono lavoratori autonomi i commercialisti, gli avvocati, gli agenti do commercio, gli architetti, ecc. Tali soggetti organizzano autonomamente il proprio lavoro; spesso, pur stabilendo con l'azienda un rapporto continuativo, non sono legati ad essa da alcun vincolo di subordinazione.
Per il lavoro svolto percepiscono un compenso specifico, concordato con l'imprenditore di volta in volta o periodicamente sulla base di contratti.

Il soggetto giuridico e il soggetto economico:

l'attività aziendale si sviluppa attraverso una serie di operazioni di vario tipo: acquisti, vendite, pagamenti, riscossioni, ottenimenti e concessioni di finanziamenti, ecc. Da queste operazioni sorgono diritti e obblighi dell'impresa nei confronti di terzi.
All'interno dell'azienda deve esistere, quindi, qualcuno che risponda delle obbligazioni che l'azienda assume durante il suo funzionamento.

Il soggetto giuridico dell'azienda è la persona (o le persone) alla quale si riferiscono i diritti e gli obblighi derivanti dalle operazioni aziendali.

Secondo la nostra legislazione, possono essere soggetti giuridici le persone fisiche e le persone giuridiche, che sono enti ai quali la legge riconosce l'attitudine a essere titolare dei diritti e degli obblighi derivanti dall'attività svolta (personalità giuridica).

In un'azienda individuale, soggetto giuridico è lo stesso proprietario, che è l'unico responsabile.

Il discorso è più complesso in riferimento alle società, in quanto presuppone la conoscenza di nozioni giuridiche che vengono esaminate e approfondite nello studio del diritto. Si può comunque affermare che nel caso delle società di persone il soggetto giuridico è rappresentato dall'insieme di tutti i soci, non essendo tale tipologia di società dotata di personalità giuridica.

Nel caso delle società di capitali, il soggetto giuridico è la società stessa.
In base alla natura del soggetto giuridico distinguiamo:
- aziende private;
- aziende pubbliche;

Le aziende private (individuali o collettive) hanno soggetto giuridico privato.

Le aziende pubbliche hanno soggetto giuridico pubblico. Ne sono esempi significativi lo Stato, Regioni, le Provincie, i Comuni e, più in generale, tutti gli enti che svolgono attività di pubblico interesse (ad esempio, enti di previdenza e di assistenza come l'Inps).

Il soggetto economico è colui che effettivamente prende le decisioni all'interno dell'azienda, scegliendo l'oggetto dell'attività, il fine da perseguire e gli strumenti più idonei per il relativo conseguimento.

Il soggetto economico è la persona (o il gruppo di persone) che, di fatto, controlla l'attività aziendale, in quanto effettua le scelte e prende le decisioni più rilevanti.

Nelle aziende individuali il soggetto economico è il proprietario.
Nelle società, invece, il soggetto economico è rappresentato dal socio o dal gruppo di soci (socio maggioritario o di maggioranza) che dispone della maggioranza dei voti e può, quindi, imporre la propria volontà ai soci "di minoranza".

Soggetto giuridico e soggetto economico spesso non coincidono.

Nell'azienda individuale, il proprietario è contemporaneamente soggetto giuridico e soggetto economico: il signor Rossi, titolare della sua azienda, è soggetto giuridico e anche soggetto economico.
Nelle società di capitali, al contrario, soggetto giuridico è la società stessa, che pertanto risponde pienamente degli obblighi assunti nello svolgimento dell'attività; soggetto economico è il socio (o il gruppo di soci) che detiene una quota del capitale sufficiente a orientare le decisioni dell'assemblea.
La società per azioni Fiat è soggetto giuridico, la famiglia Agnelli soggetto economico.

L'organizzazione aziendale:

al momento della costituzione di un'azienda è necessario affrontare una serie di problemi riguardanti, in particolare, il tipo di attività da svolgere (industriale, mercantile, di servizi, ecc.), il luogo dove svolgerla, le dimensioni e la forma giuridica da assumere (azienda individuale, società di vario tipo).
In funzione di tali decisioni occorre dotare l'azienda delle risorse umane e patrimoniali indispensabili per l'attività produttiva (persone e beni) e coordinarle in modo da assicurarne un razionale impiego in vista del raggiungimento degli scopi per i quali l'azienda è stata istituita. In altre parole, è necessario che essa predisponga, sulla base delle scelte inizialmente operate, la propria struttura.

Lo studio dell'assetto organizzativo dell'azienda, quindi, deve necessariamente considerare la localizzazione dell'azienda stessa, la dimensione e forma giuridica e l'organizzazione delle risorse umane.

La localizzazione:

la localizzazione rappresenta un problema particolarmente dedicato in ogni tipo di attività: sia per l'impresa industriale che per quella mercantile, ad esempio, l'ubicazione deve conciliare esigente strettamente operative (come la possibilità di disporre delle materie prime necessarie in tempi brevi o di far pervenire rapidamente le merci ai clienti) con altre di natura economica legate al contenimento dei costi.

Tale scelta, quindi, deve essere effettuata in base a elementi che ogni azienda deve valutare in funzione della propria attività e del contesto in cui opera.

I fattori più importanti di cui tener conto sono:

-l'ubicazione dei mercati di approvvigionamento delle materie prime (aziende industriali) o delle merci (aziende mercantili);
- la possibilità di reperire i fattori produttivi da impiegare in azienda (come ad esempio, la manodopera, l'energia elettrica, ecc.);
- la presenza di determinare infrastrutture (servizi pubblici, strade, porti, ecc.);
- la lontananza dai centri abitati, nel caso in cui si tratti di un'azienda che esegue lavorazioni particolari (ad esempio, attività molto numerose) che suggeriscono o impongono condizioni di isolamento;
- la possibilità di disporre di ampi spazi per uffici, show room, magazzini, edifici industriali, aree di servizio e di manovra degli automezzi, ecc.

La forma giuridica:

la forma giuridica dell'azienda è strettamente connessa alla sua dimensione e all'attività prescelta.

Attività di dimensioni limitate suggeriscono la costituzione di imprese individuali o di società di persone, dove l'imprenditore o i soci controllano direttamente l'operato dei pochi addetti e gestiscono personalmente i rapporti con la clientela.

Se al contrario, l'azienda assume dimensioni rilevanti che richiedono l'impiego di ingenti mezzi finanziari, risulta conveniente l'adozione della forma giuridica di società di capitali.

L'organizzazione:

l'organizzazione ha lo scopo di stabilire le funzioni e regolare l'attività lavorativa dei soggetti che operano all'azienda, al fine di rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Tra i problemi da affrontare nell'organizzazione del personale, assume particolare rilevanza la scelta della struttura organizzativa, ossia dei criteri di divisione del lavoro tra tutte le persone che operano nell'azienda.

Per un ordinato svolgimento dell'attività e il razionale impiego dei soggetti che operano nell'azienda.
Infatti, è necessario creare una struttura che stabilisca chiaramente i compiti e le responsabilità dei singoli e le relazioni tra loro esistenti.

Preliminari alla definizione della struttura organizzativa sono le scelote inerenti i seguenti aspetti:

- gli organi tra cui è suddiviso il lavoro;
- le funzioni attribuite a tali organi;
- le relazioni tra gli organi ("linee di influenza")

L'organo è una struttura alla quale è attribuita la responsabilità di svolgere un insieme di compiti.

In genere nelle aziende tre livelli di organi sono individuabili:

- organo volitivo, rappresentato dal soggetto o dai soggetti (imprenditore-proprietario o assemblea dei soci) che danno vita all'azienda e ne fissano gli obiettivi generali, prendendo le decisioni che riguardano le strategie da seguire, cioè le azioni da intraprendere per il raggiungimento del fine aziendale;
- organo direttivo, costituito da quelle persone che traducono in direttive esecutive le linee comportamentali fissate dall'organo volitivo; nelle società è costituito degli amministratori e dai direttori generali;
- organo esecutivo, composto da coloro che eseguono materialmente le operazioni aziendali, prestando attività di lavoro dipendente (impiegati, operai, ecc.).

Nelle piccole aziende il proprietario può svolgere contemporaneamente funzioni di carattere volitivo, direttivo e anche esecutivo; si realizza, quindi, un accertamento di tutti gli organi in un solo individuo.
Questo non viene nelle aziende di maggiori dimensioni, nelle quali si formano strutture organizzative più complesse e si verifica una ripartizione delle funzioni tra più organi.

Ogni organo svolge una determinata funzione di cui è considerato responsabile e ha come obiettivo il conseguimento di un risultato parziale derivante dall'esecuzione dei compiti che gli sono affidati.

Per creare una struttura organizzativa, funzionante ed efficiente, è anche necessario stabilire le relazioni che collegano questi organi che permettono loro di comunicare. All'interno dell'azienda ognuno deve sapere con sicurezza come e a chi rivolgersi per ciascun compito, chi è la persone autorizzata a emettere ordini e alla quale bisogna rispondere del proprio operato.

L'assetto organizzativo aziendale, una volta definito, non è immutabile. Lo studio dell'azienda come sistema in continuo contatto con l'ambiente esterno ha evidenziato la necessità di creare strutture organizzative flessibili, caratterizzate da relazioni non eccessivamente formalizzante.

Le azioni a tutela della proprietà e del possesso

Oggi durante l'ora di diritto abbiamo letto le due pagine relative alle azioni a tutela della proprietà e del possesso.

Le azioni a tutela della proprietà:

immaginiamo che qualcuno si sia impossessato di un bene di cui siamo proprietari. Come dobbiamo comportarci?

Come ogni diritto soggettivo anche il diritto di proprietà è accompagnato dal potere di azione, cioè dal potere di agire in giudizio per chiedere tutela contro eventuali violazioni.

Le specifiche azioni poste dall'ordinamento a tutela della proprietà sono dette azioni petitorie (dal latino potere, che significa chiedere) e sono diverse in funzione del tipo di richiesta che si avanza dal giudice.

Per esempio:

- se qualcuno si fosse impossessato o detenesse un nostro bene, potremmo rivendicarne la proprietà esercitando un'azione detta di rivendicazione;
- se qualcuno pretendesse di avere diritti reali minori su un nostro bene potremmo chiedere al giudice di negare l'esistenza di tali diritti esercitando un'azione detta negatoria;
- se, infine, fossero incerti i confini tra un nostro fondo e quello adiacente, potremmo esercitare le azioni di regolamento di confine e di apposizione di termini.

Vediamo in particolare come si esercitano queste azioni.

Come rivendicare la proprietà della cosa:

con l'azione di rivendicazione il proprietario di un bene, che sia posseduto o detenuto da altri, può rivolgersi al giudice e chiedere il riconoscimento del proprio diritto e la restituzione del bene.

L'art. 948 c.c. dispone in proposito: Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o la detiene (...).

Dal fatto che il proprietario possa agire contro chiunque possiede o detiene la sua cosa, deriva il carattere assoluto del diritto di proprietà.

L'azione di rivendicazione è imprescrittibile, e ciò significa che il proprietario può iniziarla quando vuole, anche molto tempo dopo la perdita del possesso.
Di fatto, però, sarà inutile proporla se nel frattempo l'attuale possessore fosse divenuto proprietario del bene per usucapione.

Come si prova il diritto di proprietà ai fini dell'azione di rivendicazione?
Immaginiamo che oggetto del contendere sia una bicicletta. Il modo più semplice per dimostrare di esserne proprietari è provare di averne acquistato il possesso di buona fede e con titolo idoneo. Ma come offrire una tale prova? Se abbiamo acquistato la bici in un negozio potremmo esibire lo scontrino fiscale ma, a ben guardare, quanti di noi conoscevano gli scontrini dei beni acquistati? Mancando un documento di prova potremmo chiamare a testimoniare il venditore, ma siamo sicuri che non si ricorderà di noi?
E se avessimo acquistato la bicicletta da una persone che aveva posto un annuncio sul giornale, riusciremmo a rintracciarla?

Come si può capire, fornire una prova convincente del diritto di proprietà non sempre è agevole e da ciò che consegue che, nei fatti, la tutela offerta al proprietario dall'art. 948 c.c., è molto meno efficace di quanto la sua enunciazione lasci credere.

Come respingere pretese di altri e far cessare molestie:

l'azione negatoria può essere esercitata dal proprietario contro chi pretende di avere diritti reali minori sulla sua cosa.

Per esempio, se qualcuno attraversasse abitualmente il nostro fondo pretendendo di averne diritto, potremmo esercitare contro di lui l'azione negatoria.

L'art. 949 c.c., che la contempla, così dispone: Il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.

La particolarità di questa azione è che l'attore dovrà provare al giudice solo di essere proprietario del bene. In base a questa unica prova il giudice dovrà presumere che non esistano diritti di altri. Perchè? Perchè la proprietà, se non è provato il contrario, si presume piena.
Ricordiamo che a norma dell'art. 832 c.c.: Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno (...).

E se il convenuto riuscisse a provare di essere realmente titolare di un diritto reale minore?
Se riuscirà a fornire questa prova cadrà la presunzione in favore del proprietario. Se invece non vi riuscirà, verrà condannato a cessare l'attività molesta e a risarcire eventuali danni arrecati.

Come risolvere questioni sui confini:

l'art. 950 c.c. dispone che, quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia accertato giudizialmente.
In mancanza di specifici elementi di prova, il giudice si atterrà a quanto indicato nelle mappe catastali.

L'art. 951 c.c. dispone che, se i termini tra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.

martedì 25 ottobre 2011

Il regolamento del condominio negli edifici

Oggi durante l'ora di diritto abbiamo letto la pagina relativa al regolamento del condominio negli edifici.

Il condominio negli edifici è un tipo di comunione forzosa che ha per oggetto le parti comuni di fabbricati divisi al loro interno in più unità immobiliari (abitazioni, locali commerciali, ecc.) appartenenti a proprietari diversi.

Le norme sul condominio sono contenute negli artt. 1117-1139 c.c. e poichè sono particolarmente minuziose, ne diamo solo una breve sintesi:

- oggetto di comunione sono le parti del fabbricato e i manufatti indicati nell'art. 1117 c.c. Vi rientrano i tetti, i lastrici solari, le scale, i cortili, gli stenditoi, gli ascensori, gli impianti per acqua, gas, elettricità e riscaldamento fino al punto di diramazione nei locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini:
- non è consentito rinunciare al diritto sulle parti comuni e sotterrarsi, in tal modo, alla spese per la loro manutenzione;
- la quota di partecipazione alle spese viene calcolata in millesimi, e a ciascun condominio viene attribuita una quantità di millesimi proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene in via esclusiva;
- l'assemblea dei condomini delibera sulle questioni di interesse comune.
L'art. 1136 c.c. stabilisce l condizioni per la regolare costituzione dell'assemblea e per la validità delle deliberazioni. L'assemblea, conclude la norme, non può deliberare se non risulta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione;
- le innovazioni voluttuarie, come per esempio la tinteggiatura degli androni, anche se approvate dalla maggioranza dell'assemblea, non sono vincolanti per i condomini dissenzienti. Questi, però, non possono impedire che siano eseguite dagli altri condomini a proprie spese;
- il regolamento di condominio, contenente le norme sull'uso delle cose comuni, è obbligatorio quando i condomini sono più di dieci;
- l'amministratore esegue le deliberazioni dell'assemblea e ha rappresentanza processuale del condominio.

La scuola neoclassica o marginalista e la scuola keynesiana

Oggi durante l'ora di economia politica abbiamo letto le pagine relative alla scuola neoclassica o marginalista e alla scuola keynesiana.

La scuola neoclassica o marginalista:

l'indirizzo neoclassico o marginalista nacque sul finire del 1800 soprattutto grazie all'opera dell'economista inglese William Stanley Jevons, Teoria dell'economia politica, pubblicata nel 1871.
Il pensiero marginalista ha trovato una larga diffusione soprattutto per i risultati raggiunti nell'analisi microeconomica del comportamento del consumatore e dell'impresa. Di questa corrente fanno parte numerosi esponenti, che si è soliti suddividere in differenti indirizzi ciascuno dei quali ebbe a sviluppare e approfondire i principi espressi da Jevons: tra gli altri, nella scuola austriaca si annoverano Karl Menger, Eugen von Bogm-Bawerk e Joseph Alois Schumpeter, nella scuola di Losanna Lèon Walras e Vilfredo Pareto, nella scuola di Cambridge Alfred Marshall.

Il termine marginalismo deriva dal metodo di analisi utilizzando, consistente nel ricercare le scelte ottimali dei singoli soggetti economici attraverso il confronto tra il costo sopportato e il beneficio ricavato dall'ultima dose considerata del bene (dose marginale, appunto).
Essi studiarono i processi di ripartizione delle risorse in base ai quali i singoli consumatori e le singole imprese operano le proprie scelte cercando di risolvere il problema della scarsità secondo i principi del tornaconto edonistico. Con questo approccio, razionalistico e utilitaristico, essi individuarono le condizioni di equilibrio del consumatore o dell'impresa.

I marginalisti ribaltarono la teoria del valore dei classici, ponendosi non più dal punto di vista della produzione, in base al quale il valore del bene è dato dalla quantità di lavoro necessario per produrlo (teoria valore-lavoro), ma dal punto di vista del consumatore. Il valore secondo i marginalisti è dato dall'utilità o rarità che il bene riveste per il consumatore (teoria valore-utilità). In tal modo alla concezione oggettiva del valore, si contrapponeva una concezione soggettiva.

La scuola neoclassica va ricordata anche per le importanti innovazioni di metodo introdotte nell'analisi dei fenomeni economici. I marginalisti per primi fecero largo uso dello strumento matematico per elaborare le loro teorie, contribuendo con ciò a rinnovare il linguaggio della scienza economica in senso più scientifico e rigoroso. Grazie a questa nuova metodologia essi hanno elaborato una teoria sul funzionamento dell'economia di mercato e individuato leggi studiate ancora oggi nei manuali di economia.

La scuola keynesiana:

il Trattato della moneta (1930) e la Teoria generale dell'occupazione, interesse e moneta (1936) sono gli scritti indispensabili per l'interpretazione del pensiero dell'economista di Cambridge John Maynard Keynes, e per apprezzarne il contributo da lui apportato all'economia moderna.

Egli prende le mosse da una critica severa delle concezioni economiche del liberalismo, in primo dalla legge degli sbocchi di Say. Keynes non condivideva l'ottimismo di quelle teorie basate sulla convinzione che il mercato fosse in grado di autoregolarsi e, attraverso il libero oscillare dei prezzi dei beni e dei fattori produttivi, riuscisse spontaneamente a raggiungere il pieno utilizzo delle risorse disponibili. Questo principio rivelò tutta la sua inadeguatezza durante la crisi del 1929 che dagli Stati Uniti d'America si estese in tutta Europa.
Per Keynes quella teoria poteva essere vera solo a condizione che tutta la moneta percepita dai proprietari dei mezzi di produzione fosse impiegata nell'acquisto dei beni prodotti con quei fattori produttivi. In pratica, solo reimpiegando nel sistema tutte le risorse che quel sistema aveva prodotto si poteva ottenere l'equilibrio di piena occupazione.

Il fatto è, sosteneva Keynes, che la moneta, oltre a essere mezzo di pagamento e unità di conto, svolge la funzione di riserva di valore e, proprio per questa sua peculiarità, non è spesa tutta per acquisti ma viene, in varia misura, risparmiata. Le decisioni delle famiglie sulla destinazione del loro reddito dipendono da svariati fattori non sempre prevedibili.
Senza dubbio il consumo dipende dal livello di reddito: più questo è alto, maggiore sarà il consumo, in termini assoluti. Tuttavia, la percentuale di reddito destinata al consumo (propensione al consumo) è decrescente all'aumentare del livello del reddito. La propensione al consumo è assai più elevata tra i percettori di redditi bassi che non tra i soggetti più abbienti. Si può infatti facilmente comprendere che coloro che posseggono poca ricchezza saranno costretti a spenderla tutta o quasi per procurarsi ciò di cui hanno bisogno, mentre chi dispone di maggiore ricchezza avrà la possibilità di sottrarne una parte ai consumi per risparmiarla.

L'incertezza sulle decisioni dei consumatori si ripercuote sulle imprese le quali, non conoscendo le scelte futuro dei consumatori, vivono perennemente il dilemma di quanto investire, vale a dire di quante risorse destinate allo sviluppo della capacità produttiva. Se sbagliassero le previsioni in eccesso, e quindi investissero tutte le risorse a disposizione, l'incremento della produzione non sarebbe assorbito dalla domanda e ne deriverebbe un'eccedenza di merci. Questo eccesso costringerebbe le imprese a ridurre la produzione, a diminuire dunque l'offerta e non a diminuire i prezzi.

Con una serie di reazioni a catena , come in una spirale negativa (la cui forza viene amplificata da particolari meccanismi, quali il moltiplicatore del reddito e l'acceleratore), la contrazione degli investimenti si traduce in una riduzione dell'occupazione e, quindi, in una diminuzione dei redditi e della domanda.

Le conclusioni a cui giunge Keynes sono diametralmente opposte a quelle dei classici. Non è l'offerta che influenza la domanda, ma piuttosto l'offerta che dipende dalla domanda. Gli imprenditori decidono gli investimenti sulla base delle previsioni di vendita.
Le condizioni di squilibrio come, ad esempio, quella della disoccupazione, lungi dall'essere situazioni transitorie che il mercato facilmente assorbe grazie al variare dei prezzi, possono avere carattere permanente. In conclusione, il mercato può giungere a situazioni di equilibrio tra domanda e offerta ma non sempre queste sono di piena occupazione, come ritenevano i classici. Più spesso l'equilibrio si verifica in un contesto di disoccupazione.
Keynes ritiene fondamentale l'intervento dello Stato che con un'accorta politica economica può sostenere la domanda nei periodi di crisi con interventi di varia natura, ad esempio aumentando la spesa pubblica o riducendo il prelievo fiscale, che avrebbero avuto l'effetto di liberare reddito disponibile per il consumo, funzionando, per così dire, da volano per la ripresa della economia.

Le teorie keynesiane ebbero applicazione in diversi Paesi, fino ai nostri giorni. La prima e più famosa, denominata New Deal (nuovo corso), riguardò il pian di riforme poste in essere tra il 1933 e il 1938 dal governo americano del presidente Roosvelt per risollevare il Paese dalla grave crisi che lo aveva colpito sul finire degli anni Venti.
Ai nostri giorni le testi keynesiane sono state riviste e gli interventi statali si sono allargati alla soluzione delle problematiche sociali, tutela della salute, pensioni ecc.

lunedì 17 ottobre 2011

La Boemia

Oggi durante l'ora di storia abbiamo ripassato ciò che era stato spiegato l'altra volta (cliccate qui per leggere il post).

La nuova spiegazione che è stata esposta durante l'ora è la Boemia.

Nel decenni seguenti le idee di Wyclif continuano a trovare qua e là, in Inghilterra, sporadici seguaci: ma è altrove, nel continente europeo, e precisamente in Boemia, che le sue idee incontrano un interprete capace di esercitare una grande influenza, Jan Hus.
Costui nasce nella Boemia meridionale nel 1369. Dopo aver concluso nel 1396 i suoi studi all'Università di Praga, nel 1400 viene ordinato prete e nel 1402 diventa rettore della stessa Università. Molto critico nei confronti della dissolutezza morale di numerosi ecclesiastici che, vivendo nel peccato, gli sembrano indegni di svolgere il loro compito pastorale, Hus trova negli scritti di Wyclif le indicazioni teoriche e teologiche che possono sostenere queste sue convinzioni. Si impiega quindi in un'opera di predicazione e di elaborazione concettuale a favore di una profonda riforma morale della Chiesa, mentre traduce anche qualche opera di Wyclif in ceco. Le sue posizioni gli valgono un certo numero di seguaci, sia all'interno dell'Università di Praga, sia nella società boema, ma gli costano anche - sin dal 1410 - ripetute scomuniche che, tuttavia, non fermano la sua attività di predicazione e di insegnamento.

Sul finire del 1414 Hus accetta l'invito a partecipare al concilio di Costanza per difendersi personalmente dalle accuse di eresia che avevano cominciato a esser rivolte contro i suoi scritti e le sue parole. La scelta non si rivela felice: giunto a Costanza, viene arrestato, sottoposto a un processo, riconosciuto eretico e condannato al rogo, su cui viene bruciato il 6 luglio 1415.
Durante la sfortunata partecipazione al concilio di Costanza, uno dei suoi seguaci a Praga, interpretando alla lettera una descrizione contenuta nel Nuovo Testamento, comincia a sostenere la necessità che la comunione sia impartita ai fedeli sotto le specie del pane e del vino, soluzione fin allora riservata solo agli ecclesiastici. Hus, dopo un'iniziale incertezza, si dichiara favorevole alla cosa; sicchè la teoria utraquista (che vuole cioè che entrambe le specie, il pane e il vino, siano impartite ai fedeli durante la comunione diventa il tratto distintivo degli hussiti.

La diffusione delle nuove teorie in Boemia diventa rapidamente imponente, conquistandosi anche il sostegno di un buon numero di membri della minore nobiltà. Sia nella città di Praga sia in una vasta area circostante gli hussiti, che pare non si considerano eretici, nè esterni alla Chiesa di Roma, cominciano a cacciare dalle chiese i preti che non vogliono aderire alla teoria utraquista e li rimpiazzano con altri favorevoli. Ben presto gesti così radicali provocano uno scontro senza possibilità di mediazione tra le autorità ecclesiastiche e i sostenitori della teoria utraquista.
Il conflitto finisce per assumere anche un netto profilo socio-politico: a difesa dell'ortodossia cattolica si schierano i vescovi, il re di Boemia (Venceslao e poi suo fratello Sigismondo, imperatore del Sacro romano impero che, alla morte di Venceslao - avvenuta nel 1419 -, eredita la corona di Boemia), la nobiltà maggiore, la comunità tedesca presente a Praga e in altre aree della Boemia e una parte della popolazione; sull'altro fronte, oltre a un buon numero di membri della nobiltà minore, di docenti dell'università, di preti utraquisti e di artigiani delle città, milita anche un numero crescente di contadini delle aree rurali che circolano Praga.
All'inizio la fortuna arride ai ribelli hussisti, i quali conseguono importanti successi militari sugli eserciti inviati dall'imperatore Sigismondo e dal papa Martino V. Successivamente all'interno del movimento interviene una spaccatura tra l'ala radicale - i taboriti (dal nome del biblico Monte Tabor) -, che insieme con la riforma religiosa reclama anche un rinnovamento della società su basi egualitarie, e l'ala più moderata, interessata a mantenere l'ordine gerarchico tradizionale. E così, nello stesso tempo in cui gli hussisti si difendono congiuntamente dalle milizie imperiali, combattono anche sanguinosissime guerre interne, che comportano esecuzioni, razzie, violenze di ogni tipo.
Questa lunga fase conflittuale trova una conclusione tra il 1431 e il 1436: in questi anni gli hussisti moderati si impongono sui gruppi più radicali; dopo laboriosissime trattative, i fondamenti della fede utraquista vengono riconosciuti dal concilio di Basilea, che ammette gli hussisti come membri della Chiesa, allo stesso titolo egli ortodossi; in cambio gli hussisti, che controllano il territorio boemo, riconoscono all'imperatore Sigismondo il titolo di re di Boemia.
Nonostante tutto, dunque, il nuovo linguaggio del radicalismo spirituale/politico/sociale continua a vivere e in breve tempo troverà altre menti e altri cuori pronti ad accoglierlo, ben al di là dell'angolo di Europa nel quale si è sviluppata la tormentata esperienza hussista.

Le scuole economiche, il mercantilismo, la fisiocrazia e la scuola classica

Oggi durante l'ora di economia politica abbiamo letto le pagine sulle scuole economiche, il mercantilismo, la fisiocrazia e la scuola classica.

Le scuole economiche:

le teorie elaborate dagli economisti nel corso degli anni si sono coagulate intorno a scuole di pensiero che hanno acquistato una significativa rilevanza scientifica solo a partire dal XVI secolo. La collocazione dei vari economisti all'interno di ciascuna scuola non significa perfetta identità di vendute, completa sintonia intellettuale con i principi posti a fondamento della scuola; anzi, spesso tra gli esponenti della medesima corrente si rincontrano considerevoli divergenze di opinione.

Ripercorriamo, nei paragrafi che seguono, questa storia del pensiero economico non dimenticando di osservare come la teoria sia fortemente influenzata dalle vicende storiche, politiche, sociali, culturali e tecnologiche, a ulteriore riprova della peculiarità della scienza economica.

Il mercantilismo:

in un contesto di trasformazioni, di mutamenti economici e sociali, di espansione del commercio interpretazione e di grandi scoperte geografiche, nel XVI secolo si sviluppò la scuola economica del mercantilismo.

Per la verità, più che una vera e propria scuola fondata su rigorose e coerenti teorie economistiche, il mercantilismo racchiude l'insieme delle descrizioni empiriche dei fenomeni economici elaborate da grandi mercanti inglesi e da funzionari statali tedeschi, i quali erano mossi, nel loro studio, da concrete esigenze pratiche.
Bisogna ricordare che nel XVI e XVII secolo il potere politico dei nascenti Stati nazionali è strettamente collegato a quello economico delle grandi compagnie mercantili: va da sè che l'attenzione degli economisti fu principalmente rivolta al commercio internazionale e alla ricchezza dello Stato.
Occorre anche dire che, all'epoca, l'unica moneta accettata da tutti nei traffici commerciali era l'oro, cosicchè la quantità posseduta di quel metallo prezioso finiva con il coincidere con la ricchezza stessa.
Gli acquisti di beni provenienti da altri Stati (importazioni) rappresentavano un dato estremamente negativo per l'economia nazionale poichè andavano pagati con oro che usciva dalle casse dello Stato; al contrario i beni venduti all'estero (esportazioni) facevano affluire il metallo prezioso nel Paese.

I mercantilisti sostenevano che la ricchezza delle nazioni era fondata sulle esportazioni che dovevano di gran lunga superare le importazioni (saldo attivo della bilancia commerciale) e invocavano una politica dello Stato tesa a espandere il commercio internazionale e a favorire e proteggere le esportazioni osteggiando le importazioni (politica protezionistica).

Secondo il pensiero mercantilista, l'origine della ricchezza non risiedeva dunque nella produzione, quanto nella distribuzione, e allo Stato veniva assegnato un ruolo fondamentale in campo economico, oltre che in quello politico e sociale. Per queste ragioni i mercantilisti sostennero la politica coloniale ed espansionistica degli Stati, che permetteva da un lato di rimpinguare le riserve auree, e dall'altro offriva la possibilità di collocare i beni prodotti nelle colonie.

La fisiocrazia:

la crisi nelle monarchie assolute che si erano sviluppate nei secoli precedenti e la nascita dell'illuminismo costituiscono il presupposto storico per lo sviluppo nella Francia del XVIII secolo di una nuova scuola di pensiero: la fisiocrazia, ovvero la "superiorità della natura", dal greco physis, natura e crazìa, superiorità. Gli esponenti di questa scuola, tra cui spicca il nome di François Quesnay (filosofo e medico alla corte di Luigi XIV), cercavano principalmente di elaborare una teoria che riuscisse a offrire suggerimenti concreti per risollevare l'economia francese dalle pessime condizioni in cui si trovava sul finire del 1700.

Il pilastro centrale dell'impianto teorico di questo pensiero risiede nella particolare importanza riconosciuta allo sviluppo dell'agricoltura, unico settore in grado di creare nuovo valore, di fare ottenere un sovrappiù in relazione a quello che è stato impiegato per la produzione.
Gli altri settori lavorativi, ad esempio quello manifatturiero, non creano sovrappiù, perchè non fanno altro che trasformare un certo insieme di materie prime in prodotti lavorati.
La teoria si fonda su un modello estremamente semplificato dove per produrre un bene, ad esempio il grano, si considerava venisse impiegato solo una quantità minore dello stesso bene e niente altro. In tal modo il sovrappiù era misurato in termini di quantità di prodotto eccedente e non era necessario introdurre il difficile concetto del valore del sovrappiù, concetto che avrebbe dovuto invece impiegare ampiamente gli studiosi successivi.
La conseguenza è che lo sviluppo economico e la ricchezza nazionale si realizza solo attraverso il miglioramento delle tecniche di produzione agricola e una politica economica dello Stato a tutela e favore dei produttore agricoli. I fisiocratici sono inoltre favorevoli al libero scambio delle merci, perchè ciò avrebbe favorito le esportazioni dei prodotti agricoli francesi.

Un importante contributo di Quesnay a questa impostazione teorica fu data dal Tableau èconomique, un insieme di grafici che mostravano le relazioni esistenti tra i vari settori produttivi e le varie classi sociali per la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema economico. Il medico francese suddivise la società in tre classi distinte:

- la classe produttiva, costituita dagli agricoltori che con il lavoro creano ricchezza, determinata dalla parte di prodotto agricolo eccedente quanto loro necessario per il sostentamento e per il rinnovamento del processo produttivo (ad esempio il grano che rimane dopo avere tolto quello che serve per seminare e per far mangiare la famiglia del contadino che lo ha prodotto);
- la classe sterile, rappresentata dagli artigiani, che non creano sovrappiù ma si limitano a trasformarlo;
- la classe dei proprietari terrieri, che non svolge un ruolo diretto nell'attività economica ma percepisce, sotto forma di rendita, il sovrappiù derivante dalla produzione agricola. Essa svolge ugualmente una funzione importante nell'economia, poichè spendendo il sovrappiù per acquistare i prodotti delle altre due classi consente all'economia di rigenerarsi e svilupparsi ulteriormente.

La scuola classica:

con l'espressione scuola classica comunemente ci si riferisce alle teorie elaborate da un gruppo di economisti, principalmente inglesi, vissuti tra la fine del 1700 e la metà del 1800, che concentrò la propria attenzione sulle medesime tematiche connesse essenzialmente allo studio della produzione e della distribuzione all'interno del sistema capitalistico introdotto dalla rivoluzione industriale. I principali protagonisti di questa scuola sono Adam Smith, Thomas Robert Malthus, David Ricardo, Jean Baptiste Say e John Stuart Mill.

Per i classici la suddivisione in classi non è quella ipotizzata di Quesnay, bensì quella tipica del sistema capitalistico che vede la sussistenza di tre classi:

- i lavoratori, i quali percepiscono un reddito (salario) la cui entità è quella minima per consentire la loro sopravvivenza e quella della loro famiglia e consentire alla classe lavoratrice di riprodursi;
- gli imprenditori-capitalisti, i quali hanno il compito di organizzare la produzione in cambio di un profitto; nella concezione classica la circostanza che i capitalisti anticipano ai lavoratori i salari e i mezzi di produzione prima del conseguimento del ricavo proveniente dalla produzione, giustifica la percezione di una parte del sovrappiù detta profitto;
- i proprietari terrieri, i quali cedono i loro terreni in affitto ai capitalisti, ricevendo da questi un particolare compenso detto rendita.

A differenza dei fisiocratici, i classici ritenevano che la creazione del sovrappiù non si verificasse solo nell'agricoltura ma anche nel settore manifatturiero, e che dipendesse dal lavoro umano.
Il sovrappiù non era destinato ai lavoratori, a cui era riconosciuto solo un reddito di sussistenza, ma veniva distribuito tra imprenditori e proprietari terrieri. La crescita economica si verificava allora in presenza di un incremento del capitale anticipato dai capitalisti e della forza lavoro (che i classici pensavano dipendesse dall'incremento demografico).

Per Smith, in particolare, un forte fattore di crescita della produzione era determinato dall'accentuarsi della divisione del lavoro che, secondo l'autore, provocava benefici effetti quali un incremento della produttività del lavoro, un risparmio di tempo e condizioni favorevoli per la creazione di invenzioni utili al processo produttivo.

Nella concezione classica il sovrappiù non è più legato a un solo settore produttivo e non può essere calcolato in termini fisici, come avevano fatto i fisiocratici, in quanto alla produzione manifatturiera concorrono diversi fattori produttivi. Venne allo scopo formulata la teoria del valore-lavoro: il valore di una merce è pari alla quantità di ore di lavoro che occorrono per produrla.
Smith distingue due tipi di valore, il valore d'uso e il valore di scambio. Mentre il primo dipende essenzialmente dalla capacità del bene di soddisfare un bisogno del singolo soggetto e risente quindi della valutazione soggettiva che il soggetto compie in relazione alle sue specifiche esigenze, il valore di scambio si basa, invece, su un dato oggettivo, poichè deriva dall'offerta e dalla domanda del mercato. E' a questo secondo tipo di valore che Smith applica la sua concezione del valore-lavoro e per un chilo di pane ce ne vogliono due, il valore del pane è il doppio di quello della stoffa.

venerdì 14 ottobre 2011

Gli obblighi della post-fatturazione: i registri Iva, liquidazione periodica, versamento e dichiarazione annuale

Oggi durante le due ore di economia aziendale abbiamo letto le pagine sugli obblighi della post-fatturazione.

Gli obblighi della post-fatturazione:

la post-fatturazione (espressione con cui si intendono tutti gli adempimenti che devono aver luogo dopo la fatturazione) comprende i seguenti obblighi:

- la registrazione delle fatture;
- la liquidazione periodica e il versamento dell'imposta;
- l'invio telematico dell'ammontare dei corrispettivi da parte dei contribuenti che svolgono attività commerciale;
- la trasmissione telematica di una comunicazione annuale;
- la presentazione della dichiarazione annuale.

I registri IVA:

le operazioni effettuate dai soggetti Iva devono essere annotate in appositi registri, che consentono di determinare periodicamente l'ammontare dell'imposta da versare all'Erario (oppure di quella a credito). Essi sono:

- il registro delle fatture emesse;
- il registro dei corrispettivi;
- il registro delle fatture d'acquisto (o registro degli acquisti).

Il D.p.r. 7/12/2001 n. 435 ha attribuito ai contribuenti che sono, ai fini delle imposte dirette, in regime ordinario di contabilità (tutte le società di capitali, e le imprese individuali e le società di persone con ricavi superiori a € 309.874,14 per le attività di servizi oppure a € 516.456,90 per le altre attività) la facoltà di non tenere i registri Iva a condizione che:

- le registrazioni vengono effettuate sul libro giornale nei termini previsti per i registri Iva;
- possano essere forniti all'Amministrazione finanziaria dello Stato, a richiesta, gli stessi dati che sarebbero stati annotati sui registri Iva.

Particolari agevolazioni sono previste per i contribuenti minimi; essi, infatti, hanno soltanto l'obbligo di:

- conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali di importazione;
- certificazione dei corrispettivi;
- trasmissione telematica dell'ammontare dei corrispettivi giornalieri, per i contribuenti che operano nella grande distribuzione organizzata.

Il registro delle fatture emesse:

nel registro delle fatture emesse (art. 23 D.p.r. 633/1972) devono essere annotate le fatture di vendita, secondo l'ordine di numerazione, entro i seguenti termini:

- le fatture immediate entro 15 giorni dalla data di emissione;
- le fatture differite entro il termine di emissione, coincidente con il giorno 15 del mese successivo alla consegna o alla spedizione.

La registrazione deve essere effettuata per le fatture immediate con riferimento al mese (o trimestre) in cui sono state emesse, per quelle differite con riferimento al mese (o trimestre) di consegna o di spedizione di beni venduti.

Così, ad esempio, una fattura immediata emessa in data 29/03 da un'impresa che liquida l'Iva mensilmente può essere registrata entro il giorno 13/04, ma deve essere considerata nella liquidazione del mese in cui è stata emessa, cioè del mese di marzo. In modo analogo, se la consegna delle merci ha avuto luogo il 7/11, la fattura differita può essere registrata entro il 15/12, ma deve essere considerata (nell'ipotesi di contribuenti mensili) nella liquidazione Iva del mese di novembre.

Eccezioni alla regola generale sono:

- le fatture emesse in seguito a cessioni di beni o prestazioni di servizi poste in essere nei confronti di determinati Enti pubblici (Stato, Enti pubblici territoriali, Aziende sanitarie locali, ospedali, ecc.). Dato il pagamento del corrispettivo da parte di tali soggetti avviene generalmente con notevole ritardo rispetto all'emissione della fattura, allo scopo di evitare al contribuente di dover anticipare l'imposta il documento di vendita deve essere emesso e registrato nel rispetto dei termini ordinari, ma la relativa Iva diviene esigibile, da parte dell'Erario, soltanto al momento del pagamento del corrispettivo. Per avvalersi del rinvio della liquidazione dell'Iva, il contribuente deve annotare la fattura nel registro delle fatture emesse con idonee evidenziazioni (ad esempio, in apposite colonne);
- le fatture emesse da operatori il cui volume d'affari non sia superiore a € 200.000 nei confronti di imprenditori e di esercenti arti e professioni; anche in questo caso, cedente e necessario emettono ed annotano le fatture nel rispetto dei termini ordinari, ma la relativa Iva diviene esigibile per L'Erario solo nel momento dell'incasso, e, comunque, dopo un anno dall'effettuazione dell'operazione, a patto che la fattura porti l'annotazione "Operazione con Iva a esigibilità differita ex art. 7, D.I. 185/2008".

In relazione a ciascuna fattura, nel registro devono essere annotati:

- il numero progressivo attribuito: può essere adottata un'unica numerazione annuale (a partire dalla prima fattura emessa nell'anno fino all'ultima), o una numerazione mensile, preceduta da un codice che identifichi il mese di emissione (ad esempio, A per il mese di gennaio, e così via);
- la data di emissione;
- i dati identificativi del compratore (ditta, ragione sociale o denominazione sociale, oppure nome e cognome);
- l'ammontare dell'imponibile distinto per aliquota;
- l'ammontare dell'imposta distinto per aliquota;
- per le operazioni non imponibili o esenti, il titolo di inapplicabilità dell'imposta e la norma ddi riferimento.

Nel caso in cui le fatture abbiano un importo inferiore a € 154,94 il Decreto Iva, allo scopo di limitare gli oneri amministrativi dei contribuenti, consente la registrazione, entro i termini visti in precedenza, di un unico documento riepilogativo, contenente gli elementi fondamentali (numeri, imponibile e Iva complessivi distinti per aliquote) delle singole fatture emesse.
Nel registro delle fatture emesse, infine, devono essere annotate le fatture relative agli acquisti effettuati nell'ambito della Ue. I soggetti Iva devono registrare le fatture relative agli acquisti intracomunitari e ai relativi servizi di trasporto sia nel registro delle fatture emesse che nel registro degli acquisti.
La fattura, al momento del ricevimento, deve essere numerata e integrata indicando l'ammontare dell'Iva, o il titolo e la norma di non assoggettabilità all'imposta. In alternativa, alla duplice annotazione, è possibile tenere un apposito registro, nel quale annotare soltanto gli acquisti intracomunitari.

Il registro dei corrispettivi:

- il registro dei corrispettivi (art. 24 D.p.r. 633/1972) è previsto per i commercianti al minuto e per coloro che esercitano attività assimilate (bar, alberghi, ristoranti, ecc.). Questi contribuenti vi annotano gli incassi giornalieri, certificati attraverso scontrini e ricevute fiscali, entro il giorno non festivo successivo a quello in cui le operazioni sono state effettuate.
E' consentita la registrazione riepilogativa, da effettuarsi entro il giorno 15 del mese successivo, di tutte le operazioni documentate da scontrino fiscale effettuate in ciascun mese solare.

Il registro delle fatture di acquisto:

nel registro delle fatture di acquisto (art. 25 D.p.r. 633/1972) i contribuenti devono annotare le fatture e le bollette doganali (nel caso di importazioni) relative a beni e servizi acquistati o importati nell'esercizio dell'impresa. La registrazione deve avvenire anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale si esercita il diritto alla detrazione dell'Iva.

La liquidazione periodica:

i soggetti Iva, come sappiamo, agiscono come "esattori" per conto dello Stato, nel senso che ad esempio sostituiscono nel pagare e riscuotere l'imposta; periodicamente calcolano il credito o il debito verso lo Stato, confrontando l'Iva riscossa dai clienti in occasione delle vendite e l'Iva pagata ai fornitori al momento degli acquisti (deduzione imposta da imposta).

E' importante ricordare il concetto di momento di esigibilità dell'Iva, cioè l'istante in cui sorge il diritto dell'Erario a percepire l'imposta.

Esso coincide, in linea generale, con quello della consegna dei beni venduti o dal pagamento del corrispettivo dei servizi presentati; esistono, però, delle eccezioni, tra le quali rientrano:

- le operazioni effettuate nei confronti di Enti pubblici, che divengono esigibili soltanto al momento del pagamento dei corrispettivi;
- le operazioni effettuate nei confronti di imprenditori ed esercenti arti e professioni da parte di operatori il cui volume d'affari non superi i 200.000 euro: anche in questo caso, a patto che il cedente dichiari espressamente in fattura di volersi avvalere di tale opzione, indicando anche gli estremi della norma di riferimento (art. 7 D.I. 185/2008). L'Iva sulle fatture diventa esigibile al momento dell'incasso e, comunque, dopo un anno dall'effettuazione dell'operazione (Iva per cassa).

La liquidazione dell'imposta consiste nel determinare periodicamente la differenza fra l'Iva esigibile (desumibile dalle annotazioni eseguite nel registro delle fatture emesse o, per le imprese al dettaglio, nel registro dei corrispettivi) e l'Iva sugli acquisti per la quale viene esercitato il diritto alla detrazione (risultante dal registro delle fatture di acquisto).

La periodicità con cui si deve procedere alla liquidazione dell'Iva è normalmente mensile; il relativo versamento, quando dovuto, deve essere eseguito entro il giorno 16 del mese successivo a quello cui la liquidazione si riferisce (o il primo giorno lavorativo successivo, se tale scadenza cade di sabato o di giorno festivo).

Il Decreto Iva consente ai contribuenti non ordinari di optare per il regime di liquidazione trimestrale, calcolando il saldo a debito o a credito verso lo Stato ogni trimestre solare. Il versamento, quando dovuto, deve essere effettuato entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla scadenza del trimestre. Relativamente al 4° trimestre dell'anno, la liquidazione deve essere effettuata entro il 16 febbraio dell'anno successivo; il termine per il versamento, invece, è il 16 Marzo.

I contribuenti che optano per la liquidazione trimestrale devono maggiorare l'importo dei versamenti dell'1% a titolo di interesse.

Il versamento dell'imposta:

Dalla liquidazione può risultare un saldo a debito oppure a credito del contribuente.
I contribuenti possono compensare tra loro i debiti e i crediti relativi alle liquidazioni Iva con quelli di altre imposte e contribuiti (ritenute alla fonte, contributi previdenziali, ecc.), che pure scadono il giorno 16 di ciascun mese. Ciò consente di versare un unico importo, operando una compensazione tra i debiti e i crediti relativi allo stesso periodo; in tal modo, un debito relativo all'Iva può essere compensato con un credito derivante da altre imposte o da contributi.

I versamenti devono essere effettuati esclusivamente in via telematica mediante il modello di pagamento unificato (mod. F24), direttamente tramite il sito Internet Fiscoonline (o il servizio Entratel) o ricorrendo ai servizi telematici offerti da banche e Poste, oppure ancora attraverso intermediari abilitati al servizio Entratel che utilizzano il software "F24 comulativo". Se la compensazione copre per intero le somme dovute, la parte di credito non utilizzata può essere fatta valere in occasione del primo versamento successivo o essere chiesta a rimborso.
I contribuenti mensili che per la tenuta della contabilità si avvalgono di altri soggetti (ad esempio, dottori commercialisti o esperti contabili) possono far riferimento, nella liquidazione periodica dell'imposta, alle operazioni effettuate nel secondo mese precedente; l'Iva da versare entro il 16 ottobre, ad esempio, può essere calcolata facendo riferimento alle operazioni del mese di agosto (anzichè a quelle di settembre).
Qualora l'importo da versare non sia superiore a € 25, 82, il versamento non deve essere effettuato e l'imposta dovuta va ad aumentare il debito del periodo successivo.

I contribuenti che operano nella grande distribuzione organizzata devono trasmettere in via telematica l'ammontare dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi con scadenza settimanale.

I contribuenti, entro il mese di febbraio di ciascun anno, devono trasmettere per via telematica all'Amministrazione finanziaria dello Stato una comunicazione riepilogativa, che sintetizza i dati (Iva esigibile, Iva portata in detrazione, differenza tra i due importi) relativi alle liquidazioni periodiche effettuate nel corso dell'anno precedente (D.p.r. 7 dicembre 2001, n. 435).

I soggetti Iva, inoltre, hanno l'obbligo di versare entro il 27 dicembre di ogni anno un acconto dell'imposta relativa al mese di dicembre (per i contribuenti mensili) o all'ultimo trimestre solare (per i contribuenti trimestrali).

L'acconto dee essere calcolato secondo una delle seguenti modalità:

- in misura pari all'88% dell'Iva versata in riferimento al mese di dicembre dell'anno precedente, nel caso di liquidazione mensile, oppure dell'Iva versata con la dichiarazione annuale dell'anno precedente, nel caso di liquidazione trimestrale (metodo storico);
- in misura pari all'88% dell'Iva che si prevede di dover versare per il mese di dicembre dell'anno in corso (o in sede di dichiarazione annuale per i contribuenti trimestrali), se inferiore a quella determinata secondo la modalità precedente (metodo previsionale);
- in misura pari all'imposta liquidata provvisoriamente sulla base delle operazioni effettuate dal 1° al 20 dicembre per i contribuenti mensili o dal 1° ottobre al 20 dicembre per i contribuenti trimestrali (metodo della liquidazione al 20/12).

L'acconto non deve essere versato se di ammontare inferiore a € 103,29; sul versamento effettuato dai contribuenti trimestrali non si applica la maggiorazione dell'1%.

Limiti oggettivi e soggettivi alla detrazione dell'Iva:

l'Iva sugli acquisti non è sempre detraibile; il diritto di detrarre dall'imposta sulle fatture emesse (Iva a debito) quella relativa alle fatture di acquisto (Iva a credito) non è, infatti, assoluto. Il principio fondamentale della detraibilità dell'imposta è quello dell'inerenza, in base al quale la detrazione spetta in relazione ai beni e servizi acquistati allo scopo di porre in essere operazioni imponibili.
Il decreto Iva (art. 19 e seguenti) pone alla detrazione due tipi di limiti:
- limiti oggettivi, che dipendono dalla natura dei beni e dei servizi acquistati;
- limiti soggettivi, che hanno origine delle caratteristiche dell'attività svolta dal soggetto acquirente.

Tra i limiti oggettivi, ricordiamo: l'Iva relativa all'acquisto, importazione e spese di gestione di telefoni portatili e radiotelefoni è detraibile soltanto nella misura del 50%.

Il principale limite soggettivo sussiste quando il contribuente, oltre a operazioni imponibili, effettua operazioni esenti da Iva.

La normativa prevede limiti alla detrazione nel caso di acquisto di beni o servizi utilizzati promiscuamente per effettuare operazioni imponibili e operazioni esenti da imposta.
La detrazione deve essere determinata in base a un particolare procedimento, denominato pro-rata, finalizzato alla determinazione della percentuale di detraibilità dell'Iva.
In altri termini, l'Iva assolta sugli acquisti è riconosciuta in detrazione in proporzione alla percentuale di operazioni imponibili sul totale del volume d'affari del soggetto Iva.

Un discorso a parte va fatto per gli automezzi destinati anche all'impiego personale dell'imprenditore, dei suoi familiari, dei soci, ecc.: l'Iva assolta al momento dell'acquisto è detraibile nella misura in cui gli stessi vengono utilizzati per realizzare operazioni imponibili, cioè per la parte destinata allo svolgimento dell'attività d'impresa; si applica, quindi, il principio dell'inerenza previsto dall'art. 19 del D.p.r. 633/1972. Infatti, con la scadenza del 14/9/2o06 la Corte di giustizia europea ha dichiarato il 15% dell'Iva sugli acquisti di automezzi destinati anche all'uso personale.
Occorre tuttavia precisare che l'Italia (come molti altri Stati dell'Ue) ha ottenuto dall'Unione europea un'apposita deroga al principio, in base alla quale la quota detraibile dell'ammontare dell'Iva assolta all'acquisto dei suddetti automezzi viene determinata in modo forfetario nella misura del 40%.
E' invece interamente detraibile l'Iva assolta all'acquisto di autoveicoli utilizzati esclusivamente quali beni strumentali o di carburanti, lubrificanti, ecc. ad essi destinati

Contatore in informatica

Oggi durante le due ore di informatica abbiamo svolto qualche esercizio sul contatore informatico.

Di seguito vi riporto due esercizi che abbiamo svolto in classe.


Esercizi sui fasci di rette

Oggi verso la fine dell'ora di matematica l'insegnante ci ha consegnato degli esercizi sui fasci di rette.

Se volete anche voi esercitarvi sui fasci di rette, di seguito vi riporto il foglio degli esercizi che l'insegnante ci ha consegnato.

giovedì 13 ottobre 2011

La proprietà

Oggi durante l'ora di diritto abbiamo iniziato a leggere il nuovo capitolo relativo alla proprietà.

I poteri del proprietario:

la proprietà è un diritto con il quale abbiamo tutti grande familiarità e al quale, più o meno tutti attribuiamo una ragionevole importanza. Tuttavia, proprio intorno a questo diritto così familiare e così diffuso sussiste qualche confusione. Non è difficile, per esempio, ascoltare espressioni del tipo: Quella cosa è mia e ne faccio quel che mi pare! Con le cose proprie ciascuno può fare tutto quel che vuole!
Si tratta di affermazioni che, pur nella loro semplice formulazione, ci portano diritti al cuore di un importante problema: quali poteri attribuisce al titolare il diritto di proprietà?

La risposta dipende dal tipo di beni di cui si è proprietari.
Ci sono alcuni beni mobili di uso comune come libri, vestiti, orologi, monili, con i quali possiamo realmente fare quel che vogliamo e ciò potrebbe indurci a ritenere tendenzialmente senza limiti il contenuto del diritto di proprietà.
Ma se consideriamo altri tipi di beni, come terreni, fabbriche o automobili, la situazione appare subito diversa. Come sappiamo per generale esperienza, i poteri del proprietario di un suolo sono limitati dalla complessa normativa che pone vincoli alla edificabilità, al disboscamento, alla escavazione di cave e miniere; i poteri del proprietario della fabbrica sono limitati dalla normativa sul contenimento dell'inquinamento ambientale e sulla sicurezza del lavoro; quelli dell'automobilista dalle norme sulla circolazione stradale e così via.

La conclusione che possiamo trarre è che nel nostro ordinamento i poteri del proprietario non hanno sempre il medesimo contenuto, ma variano in funzione dei limiti e degli obblighi posti dal legislatore alla utilizzazione di questo o di quel tipo di bene.

La funzione sociale della proprietà:

perchè l'ordinamento pone limiti ai nostri diritti sulle cose? Per quale ragione non possiamo essere liberi di edificare su un nostro terreno o di far funzionare come più ci conviene la nostra fabbrica? Esiste un criterio guida a cui si ispira il legislatore nel porre vincoli e obblighi a carico del proprietario?
Nell'art. 42, comma 2, Cost. troviamo la risposta: La proprietà privata è conosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e di limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale (...).
I limiti posti dal legislatore, dunque, debbono essere finalizzati ad assicurare la funzione sociale della proprietà.

Che cosa si intende per funzione sociale?

La norma non lo spiega e la questione è di grande complessità. Tuttavia, semplificandone al massimo i termini, possiamo dire che assicurare la funzione sociale significa porre dei vincoli a quelle forme di utilizzazione e di disposizione dei beni che, pur recando vantaggio ai singoli proprietari, possono rivelarsi pregiudizievoli per gli interessi della collettività.
Per esempio, il potere di edificare sul proprio fondo, pur recando indubbio vantaggio ai proprietari fondiari, potrebbe rilevarsi di notevole pregiudizio alla collettività se non venisse limitato a certe aree ben definite.
In linea generale, secondo il dettato costituzionale, ogni volta che il Parlamento individua un conflitto tra interesse privato e interesse collettivo, ha il dovere di emanare le norme più idonee e salvaguardare quest'ultimo. Sono nate in tal modo, nel corso degli anni, la legislsazione sulla tutela dell'ambiente, sulla edificabilità dei suoli, sulla sicurezza del lavoro in fabbrica, sulla protezione dei beni culturali e così via.

Tali norme, secondo una recente dottrina, più che porsi come limite al diritto di proprietà, disegnano tanti tipi diversi di proprietà, ciascuno con un proprio specifico contenuto.

mercoledì 12 ottobre 2011

Classificazione dei beni

Oggi durante l'ora di diritto abbiamo letto le pagine sulla classificazione dei beni.

La diversa natura dei beni e la loro diversa rilevanza economica, comporta la necessità di una diversa disciplina giuridica. Non sfugge a nessuno per esempio, la necessità di regolare l'acquisto di un panino al prosciutto in modo diverso dall'acquisto di un'automobile o di un'azienda.
La presenza di una disciplina differenziata ci costringe a operare una classificazione dei beni che, per quanto ora appaia tediosa, ci tornerà particolarmente utile nel corso del nostro studio.

I beni immobili, i beni mobili e i beni mobili registrati:

immobili sono i beni destinati a non muoversi. Sono tali, per l'art. 812 c.c., il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici, le altre costruzioni e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili anche i mulini e gli edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva e sono destinati a esserlo in modo permanente.

Mobili sono, per esclusione, tutti gli altri beni, comprese, precisa l'art. 814 c.c., le energie naturali che hanno valore economico.

La differenza tra beni mobili e immobili è giuridicamente rilevante soprattutto per quanto attiene alla loro alienazione, cioè il loro trasferimento ad altri.
I beni mobili si possono alienare senza alcuna formalità: basta la consegna del bene.
Per i beni immobili, invece, è richiesta la forma scritta a pena di nullità ed è previsto che l'atto di alienazione possa essere reso pubblico mediante trascrizione nei pubblici registri immobiliari.

Tante cautele traggono origine dal fatto che, in un passato non troppo lontano, i beni immobili costituivano la maggiore fonte di ricchezza e la legge si preoccupava di rendere quanto più sicuro possibile il diritto del proprietario.

Mobili registrati sono chiamati i beni individuali attraverso numeri di targa o di matricola e iscritti in pubblici registri. Sono tali gli autoveicoli, le navi, gli aerei e, per effetto della legge n. 38 del 10 febbraio 1982, anche le macchine operatrici, come ruspe, bulldozer, escavatori. In mancanza di disposizioni particolari, stabilisce l'art. 815 c.c., si applicano a essi disposizioni relative ai beni mobili.

I beni fungibili e infungibili:

il termine fungibile significa sostituire.
Fungibili, pertanto, sono i beni sostituibili con altri dello stesso genere.
Fungibile è sicuramente il denaro, poichè una banconota è perfettamente sostituibile con un'altra dello stesso valore. Ma lo sono anche i prodotti agricoli di una medesima qualità; i prodotti industriali fabbricati in serie nonchè le azioni e le obbligazioni emesse da una medesima società.
Infungibili sono, invece, i beni che possiedono una loro specificità che li rende unici.
Sono infungibili, pertanto, i beni immobili, poichè un terreno non potrà mai essere perfettamente uguale a un altro terreno, nè una costruzione a un'altra costruzione. Sono infungibili le opere d'arte e anche i beni mobili registrati (ma solo dopo la loro registrazione). Per esempio, un'automobile è fungibile fin quando è in fabbrica insieme a tante altre, ma diventa infungibile quando è stata immatricolata ed ha acquistato una propria specificità.

I beni immateriali e materiali:

immateriali sono chiamati i beni che non hanno una consistenza corporea, ma che pure esistono, come i cibi, le bevande, i fuochi d'artificio, i combustibili.
Inconsumabili sono tutti gli altri, come i terreni, le case, i libri, le automobili.
La consumabilità non deve essere confusa con l'usura prodotta dal tempo.
Quasi tutti i beni, infatti, anche se classificati come non consumabili, sono usurabili.

I beni divisibili e indivisibili:

divisibili sono i beni che possono dividersi in più parti ciascuna delle quali conserva un valore proporzionale alla sua dimensione: è divisibile un terreno agricolo, un blocco di metallo, una forma di formaggio.
Indivisibili sono i beni che, se frazionati, perderebbero gran parte del loro valore, come un lotto terreno edificabile, un'automobile, una bicicletta ecc.

Le universalità di beni mobili:

sono chiamate universalità di beni mobili le biblioteche, le pinacoteche, le collezioni, le mandrie, le greggi e così via.

Il primo comma dell'art. 816 c.c. stabilisce che: E' considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.

Quale utilità traiamo dal fatto di sapere che una mandria o una pinacoteca costituiscono una universalità?

La rilevanza giuridica dell'universalità sta nel fatto che può essere considerata un bene unico e quindi può essere alienata senza la specifica elencazione delle singole cose che la compongono.

Le pertinenze:

sono pertinenze, stabilisce l'art. 817, comma 1, c.c., le cose destinate in modo durevole o servizio o ad ornamento di un'altra cosa.
Per esempio il garage o la cantina sono pertinenze rispetto all'appartamento a cui si riferiscono. Sono ancora pertinenze l'autoradio rispetto all'automobile, le scialuppe rispetto alla nave e così via.

Quale utilità traiamo dal fatto di sapere che la cantina costituisce una pertinenza dell'appartamento?
La risposta ci viene dal primo comma dell'art 818 c.c.: Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
Ciò vuol dire, per esempio, che se vediamo un appartamento, deve considerarsi compresa nel prezzo anche la cantina, se non è stata esplicitamente esclusa.

Ciò non toglie, come stabilisce lo stesso art. 818, comma 2, che le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici.
E' possibile, pertanto, vedere la cantina senza l'appartamento, l'autoradio senza l'automobile, la scialuppa senza la nave e così via.

I frutti:

ci sono beni, come i terreni agricoli, gli alberi, gli animali, che per legge di natura sono in grado di produrre frutti, cioè altri bene che, una volta separati dalla cosa o dall'animale che li ha prodotti, assumono un proprio valore economico. Questi vengono indicati come frutti naturali.

Ci sono altri beni, come il denaro, le case, le aziende, che non germogliano nè partoriscono e che, tuttavia, se concessi in godimento ad altri, producono un reddito. Tale reddito può essere considerato il frutto di questi beni ed è chiamato frutto civile per distinguerlo da quello naturale.

L'art 820 c.c. stabilisce, in proposito, che:
- sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere; finchè non avviene la separazione, i frutti fanno parte della cosa;
- sono frutti civili quelli che si traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, le rendite, i corrispettivi delle locazioni e così via.

Il patrimonio:

quando parliamo del patrimonio di una persona, siamo naturalmente portati a pensare ai suoi beni, compreso il denaro. In realtà il concetto giuridico di patrimonio è molto più ampio.

Il patrimonio è costituito dall'insieme dei diritti e degli obblighi che fanno capo a un soggetto.

Per capire il significato di questa definizione dobbiamo considerare che ciascuno di noi può essere contemporaneamente proprietario di beni, creditore nei confronti di alcune persone e debitore nei confronti di altre.
Il patrimonio comprende tutte queste diverse situazioni. Ne consegue che, se il valore dei beni e dei crediti di una persona è superiore al valore dei debiti, questa avrà un patrimonio netto attivo; se è inferiore avrà un patrimonio netto passivo.
Attenzione, pertanto, a ricevere in eredità un patrimonio. Prima di accettare è sempre bene controllare che si tratti di un patrimonio attivo.

martedì 11 ottobre 2011

La prima fase delle rivolte

Oggi durante l'ora di storia abbiamo letto le pagine sulla prima fase delle rivolte.

Almeno fino ad oggi negli anni Ottanta del XIV secolo, però, questa confusione di linguaggi non è così evidente. Nelle rivolte che scuotono le Fiandre, la Francia, la Francia, l'Italia gli obiettivi sono di natura più immediatamente sociale e politica, e il rinvio alla spiritualità cristiana è piuttosto allusivo, quando non manca del tutto.

Le Fiandre:

è una fase, questa iniziale, nella quale le Fiandre si distinguono per una speciale irrequietezza. Nel 1323 l'imposizione di nuove tasse considerate eccessive spinge contadini e artigiani dei villaggi fiamminghi a una rivolta che dura cinque anni, coinvolgendo anche le città di Bruges e Ypres. In seguito, sono gli effetti congiunti della guerra dei Cent'anni e della depressione economica conseguente alla crisi demografica che riaccedono le tensioni, spingendo più volte, dal 1338 al 1345, e poi di nuovo dal 1377 al 1383, i cittadini di Gent ed di altre città alla rivolta, ora contro il conte, ora contro il re di Francia, di cui le Fiandre sono un feudo, ora contro i contadini che - in campagna - cercano di lavorare la lana a costi più bassi di quelli previsti dalle corporazioni artigiane cittadine.

La Francia:

intanto anche la Francia è investita da una rivolta (chiamata jacquerie, dal tipico soprannome del contadino francese: Jacques Bonhomme) che appare - a molti - assolutamente inaudita per la brutalità e la violenza che la caratterizza. Siamo all'inizio dell'estate del 1358: la guerra con l'Inghilterra è in corso da ventun anni. Il re Giovanni è stato catturato con due anni prima dagli inglesi, nella battaglia di Poitiers, e per far fronte alla situazione il reggente intensifica il reclutamento di uomini, mentre si chiedono nuove tasse e nuove prestazioni di lavoro ai contadini.
A costoro la misura sembra colma: la ribellione ha inizio nel Beauvaisis e si diffonde ad altre aree, trovando perfino appoggio presso le corporazioni mercantili parigine che, guidate dal loro capo, Ètienne Marcel, cercano di conquistarsi uno spazio maggiore nel governo della città e del regno; la sommossa rurale dura poco ma è costellata di episodi di brutale degradazione dei potenti, dei loro corpi, dei loro beni, a cui i nobili francesi rispondono organizzandosi e mettendo in atto una repressione spietata che provoca all'incirca 20.000 morti come narra Jean Froissart nelle sue Cronache. Poco più tardi anche Ètienne Marcel viene assassinato e le ambizioni dei borghesi parigini vengono messe a tacere.


L'Italia:

passano quindici-vent'anni e un'altra sanguinosa esplosione di rabbia scoppia in Italia. Questa volta la ribellione non nasce in campagna ma in città, e alla città resta circoscritta. E' il cosiddetto popolo minuto di artigiani e operai che si ribella, prima a Perugia e a Siena, nel 1371 , poi, molto più gravemente, a Firenze, nel 1378.

All'epoca Firenze è sede di numerosi laboratori che producono tessuti di lana (sono poco meno di 300 e vi lavorano all'incirca 10.000 operai). I mastri artigiani, proprietari dei laboratori produttivi, hanno diritto, insieme con mercati e artigiani di altri settori, di esprimere una loro rappresentanza al governo della città. Invece gli operai del settore laniero - chiamati ciompi, un termine dall'origine etimologica incerta - non sono organizzati in alcuna corporazione e quindi non hanno il diritto di partecipare alla vita cittadina; per questo motivo sono anche esposti a condizioni di lavoro particolarmente pesanti.
Nell'estate del 1378 i ciompi chiedono la costituzione di una propria corporazione che li tuteli e permetta loro una più diretta partecipazione alla vita politica cittadina: accogliere la loro richiesta significa democratizzare in modo piuttosto radicale l'accesso alle cariche politiche, il che, alla fine, spaventa tanto i più ricchi mercanti, quanto i padroni delle botteghe laniere, quanto i membri di altre corporazioni minori.
Costoro hanno buoni motivi per temere, poichè alla fine di luglio i ciompi riescono a imporre la costituzione di tre nuove corporazioni, di cui una per la loro categoria, la più numerosa di tutte, e altre due per i tintori e per i sarti, guadagnandosi in tal modo l'accesso alle cariche nel quadro di un nuovo ordinamento politico, molto più democratico del precedente.
Lo scontro ora si fa più duro; per reagire alla riforma politica imposta dai loro operai i maestri artigiani dichiarano la serrata, cioè la chiusura delle botteghe, lasciandoli senza lavoro e senza paga. La protesta dei ciompi diventa più veemente, fino a che, alla fine di agosto, allarmati dalla loro aggressività e dalla loro disperazione, anche gli artigiani degli altri settori si uniscono ai grandi mercanti e alle milizie cittadine nel reprimere, armi alla mano, la rivolta, che viene soffocata nel sangue. La corporazione dei ciompi viene subito sciolta.
Le tensioni continuano ancora per alcuni anni, fino a che, nel 1382, vengono definitivamente abolite anche le altre due corporazioni di nuova istituzione, per tornare alla organizzazione socio-politica precedente al 1378.

I diritti reali, le cose e i beni

Oggi durante l'ora di diritto abbiamo letto le pagine sui diritti reali, sulle cose e sui beni.

I diritti reali in generale:

l'aggettivo reale deriva dal latino res che significa cosa, oggetto.

I diritti reali sono, pertanto, i diritti sulle cose.

Caratteri tipici dei diritti reali sono la patrimonialità, l'assolutezza e la tipicità.

- Patrimonialità significa che il diritto reale ha per oggetto solo cose che hanno un valore economico (un terreno, una nave, una batteria di pentole).

- Tipicità significa che i diritti reali costituiscono un numero chiuso. Sono tali, cioè, solo i tipi indicati dalla legge.

- L'assolutezza consente al titolare di pretendere che il suo diritto sia rispettato da tutti.

Quali diritti sono reali?

La proprietà è sicuramente il più rilevante tra i diritti sulle cose, per la funzione economica che assolve e per gli ampi poteri che attribuisce al titolare.

Gli altri, chiamati reali di godimento su cosa altrui o anche diritti reali minori sono l'usufrutto, l'uso, l'abilitazione, l'enfiteusi, la superficie e le servitù prediali.

Perchè alcuni diritti reali sono chiamati diritti di godimento su cosa altrui e perchè minori?

Immaginiamo di essere proprietari di un terreno e supponiamo che un nostro confinante abbia diritto, secondo quanto dispone la legge, di attraversarlo per raggiungere la più vicina strada.
Se riflettiamo su questa fattispecie possiamo notare che:

- il confinante ha diritto di godere di una cosa altrui: nel caso specifico ha diritto di godere del nostro fondo sul quale può transitare;
- il contenuto di questo suo diritto è certamente minore rispetto al contenuto del diritto di proprietà perchè gli consente solo di transitare sul fondo e non, per esempio, di coltivarlo o di vederlo.

Questo che abbiamo appena descritto è chiamato diritto di servitù perchè consente al titolare di servirsi della cosa altrui. Si tratta, in particolare, di una servitù di passaggio.

Le cose e i beni:

abbiamo detto che i diritti reali sono i diritti sulle cose. In realtà non tutte le cose si prestano a essere soggetto di diritti, ma solo quelle che il codice chiama beni.

Beni sono le cose che hanno un valore economico e sulle quali l'uomo ha interesse e concreta possibilità di esercitare un diritto.

Il concetto di bene, pertanto, è più ristretto rispetto a quello di cosa.
Non sono beni, per esempio, le cose disponibili in natura in quantità così rilevante da rendere priva di significato una loro appropriazione. Non avrebbe senso, per esempio, pretendere di appropriarsi di cose come l'energia solare o l'energia eolica che, pur rivestendo una grande utilità, sono talmente abbondanti che chiunque può utilizzarle senza necessità (nè possibilità) di rivendicarne un uso esclusivo.

Sono beni, invece le cose:

- utili, anche in senso molto ampio, come per esempio i gioielli;
- accessibili, cioè concretamente raggiungibili e utilizzabili;
- oggetto di diritto, cioè tali che sia possibile escludere altri dal godimento.

E' da sottolineare che, per effetto del progresso scientifico e tecnologico, sono sempre di più le cose che entrano a far parte della categoria dei beni. Pensiamo al petrolio, divenuto un bene soprattutto dopo l'invenzione del motore a scoppio; all'uranio, divenuto un bene soprattutto dopo la scoperta dell'energia atomica; al suolo lunare, che non è ancora un bene perchè nessuno sa come sfruttarlo, ma nulla esclude che possa diventarlo in futuro.


La microeconomia e macroeconomia, l'economia statica e dinamica, l'economia positiva e normativa e la politica economica

Oggi durante l'ora di economia politica abbiamo letto le partizioni e rapporti con altre scienze che comprendono la microeconomia e macroeconomia, l'economia statica e dinamica, l'economia positiva e normativa e la politica economica.

La prima fondamentale distinzione dell'economia politica è quella tra microeconomia e macroeconomia.

La microeconomia è quella parte della scienza economica che ha per oggetto l'analisi del comportamento del singolo soggetto economico e prende in considerazione i dati relativi ai singoli casi.

La microeconomia prende in esame il comportamento di un soggetto economico nella sua individualità (ad esempio il comportamento di un consumatore o di una impresa), analizza ed elabora i dati relativi al caso singolo. Il comportamento del singolo viene presunto in tutti gli altri soggetti del sistema (ad esempio ogni consumatore, ogni impresa) e così facendo si arriva a fornire spiegazioni dell'intera realtà economica.

La microeconomia ha per oggetto l'analisi dei comportamenti di intere categorie di soggetti economici e prende in considerazione le grandezze aggregate.

Al contrario della microeconomia, essa studia gruppi omogenei di soggetti economici (tutte le imprese, tutti i consumatori, ecc.) e analizza grandezze aggregate, cioè il risultato dell'unione dei dati ricavati a livello microeconomico (il consumo, la produzione, il reddito, ecc. di un Paese è il risultato della aggregazione dei singoli consumi, prodotti, redditi, ecc. di tutti i soggetti di quel Paese).

Un altro modo di ripartire la scienza economica è tra economia statica ed economica dinamica.
La prima studia fenomeni economici come fossero, per così dire, sospesi nel tempo, cioè non disturbati dalle trasformazioni che inevitabilmente il progredire del tempo determina.
L'economia dinamica, al contrario, si occupa del processo di trasformazione che i fenomeni economici subiscono con il passare del tempo.

L'economia politica non si limita a studiare i comportamenti economici esistenti, ma fornisce anche suggerimenti su come i soggetti economici e, in particolare lo Stato, dovrebbero comportarsi per raggiungere gli obiettivi desiderati. Da questo punto di vista si usa distinguere tra economia positiva, il cui soggetto di studio sono i fenomeni realmente esistenti (positivo dal latino positum, posto), ed economia normativa, che si preoccupa invece di studiare e suggerire i comportamenti auspicabili. La prima studia ciò che è, la seconda ciò che dovrebbe essere.

Fa parte dell'economia normativa la politica economica.

Per politica economica si intende l'insieme dei provvedimenti posti in essere dallo Stato e in generale dalle autorità pubbliche per il proseguimento di obiettivi prefissati.

lunedì 10 ottobre 2011

Ribelli ed eretici

Oggi durante l'ora di storia l'insegnante ha spiegato i ribelli ed eretici.

In certi momenti la violenza diventa collettiva - e al tempo stesso - dichiaratamente eversiva. Certo, le rivolte non sono infrequenti neppure nei secoli precedenti: ma nel tardo Medioevo sono particolarmente numerose e devastanti, poichè esprimono un disagio sociale disperato e cupo che non riesce a trovare altri modi possibili per manifestarsi. Le razzie e le distruzioni delle guerre legittime, la pressione fiscale causata dalle esigenze della guerra, le carestia, la peste, la crisi economica che ne consegue, lo sfruttamento dei contadini nelle campagne e degli operai nei laboratori artigianali delle città sono tutti fattori che convergono e si sovrappongono nello spiegare questo ripetersi di scoppi di violenza sociale e politica.

Ma col trascorrere dei decenni si delinea una nuova tendenza: ancora più chiaramente di quanto non fosse accaduto in precedenza, i ribelli prendono infatti a parlare il linguaggio delle Sacre Scritture, cosicchè le inquietudini sociali e quelle spirituali si fondono in un'unica esperienza di eterodossia religiosa e socio-politica.

Come mai si opera questa sovrapposizione?

Nella cultura medievale - così dominata dal senso del soprannaturale - non è certo insolito che questioni politiche siano lette e interpretate sulla base dei valori cristiani. E d'altro canto, più volte, nei secoli precedenti, si sono formate e diffuse correnti critiche nei confronti dei consumi della Chiesa e degli ecclesiastici, che il papa con l'aiuto delle autorità laiche aveva saputo fronteggiare, a volte con inusitato vigore. Ma ora la crisi che squassa il Papato per tutto il periodo che va dai primi del XIV secolo alla fine dello scisma d'Occidente apre nuovi spazi per la manifestazione e la diffusione di opinioni eterodosse, sollecitate anche da tutta una serie di comportamenti di singoli ecclesiastici che sembrano allontanarsi moltissimo dalla semplicità e di giustizia sociale si incontrano. Ne nascono un linguaggio e una pratica nuovi, che fondono rigorismo etico, radicalismo sociale e purismo religioso, inaugurando un modello che sarà ricordato e molte volte rivissuto da numerose generazioni a venire.

Il metodo dell'economista e le leggi economiche

Oggi durante l'ora di economia politica abbiamo letto le due pagine riguardanti il metodo dell'economista e le leggi economiche.

Come ogni scienza, anche l'economia cerca di scoprire il significato dei fatti studiati e i legami che sussistono tra determinati fenomeni (leggi scientifiche).

L'economista è interessato, ad esempio, a conoscere se la quantità domandata di un bene aumenta, diminuisce o resta invariata qualora venga alzato il prezzo di vendita del bene, o a scoprire cosa accade al valore della moneta se si aumenta la quantità di banconote in circolazione.

Nelle scienze esatte, come la fisica e la chimica, il nesso tra determinati fenomeni viene ricavato dall'esito di un esperimento verificabile. Se l'esperimento non riesce, ad esempio, la combinazione di due elementi chimici non produce quella determinata reazione, la legge non esiste.
Si ha una legge scientifica esatta quando le relazioni tra i fatti studiati si ripetono in modo costante, senza mai eccezioni. Il raggiungimento di leggi esatte è possibile solo quando i dati da cui la legge viene tratta sono riprodotti fedelmente in laboratorio dallo scienziato, in maniera che il fenomeno studiato sia sempre perfettamente lo stesso.

L'economia politica, in quanto scienza che studia i comportamenti umani, rientra tra le cosiddette scienze sociali e pertanto non è una scienza esatta. Oggetto dell'analisi dell'economista sono fenomeni che non possono essere riprodotti fedelmente in laboratorio in esperimenti controllati e verificabili, quanto piuttosto situazioni tratte dalla realtà vissuta degli uomini, ricavate spesso dalle testimonianze di qualcuno, ad esempio di questo o quell'imprenditore, o dall'elaborazione degli storici e dei sociologi, che esprimono una loro riflessione sui fenomeni sociali, o desunti dagli elaborati degli statistici, che traducono in numeri i rilievi effettuati dagli operatori, e così via. Il fenomeno studiato è quindi già in partenza difettoso, contaminato com'è da tali e tante percezioni soggettive.

Si aggiunga che i fenomeni economici hanno una precisa dimensione storica e geografica, pertanto la legge che può valere in un determinato momento storico e in un certo luogo può non essere più vera in un altro periodo o in un luogo diverso. La produzione, il consumo, il lavoro, ad esempio, sono fenomeni condizionati dal grado di sviluppo tecnologico del sistema, da, modificarsi dei costumi sociali, dal verificarsi di eventi straordinari, come una guerra o una carestia.

Il laboratorio dell'economista è costituito dal modello, cioè da uno schema mentale semplificato della realtà dove l'economista simula il verificarsi dei fenomeni e individua le leggi economiche.

In esso i comportamenti esaminati non corrispondono a quelli esistenti nella complessa realtà economica. Affinchè il modello produca dei risultati accettabili occorre che l'economista mantenga costanti tutte le variabili coinvolte nel fenomeno esaminato, con la sola eccezione di quelle che si vogliono esaminare. Se, ad esempio, vuole studiare le possibili relazioni che sussistono tra la disoccupazione e le variazioni del saggio degli interessi sui prestiti bancari, deve supporre che non mutino gli altri fenomeni che possono ugualmente influire sul mercato del lavoro, come ad esempio l'andamento delle esportazioni, il prelievo fiscale, l'aumento dei consumi, ecc. Diversamente lo studioso non riuscirebbe a formulare le sue leggi, potendo ogni variabile essere la causa dell'evento esaminato ovvero potendo più variabili du segno opposto impedire all'evento di verificarsi.

Le leggi dell'economia non sono dunque leggi scientifiche esatte, sempre vere e verificabili, quanto piuttosto delle relazioni tra fenomeni economici che presentano un elevato grado di regolarità. Esse non esprimono verità assolute, ma linee di tendenza che possono essere smentite dalla realtà senza che ciò comporti automaticamente il venir meno della legge. La legge della domanda, ad esempio, afferma che la quantità di un bene che un soggetto è disposto ad acquistare si riduce all'aumentare del suo prezzo. E' tuttavia possibile che un soggetto, per ragioni imprevedibili legate, ad esempio, al diffondersi di una moda, o anche a un particolare stato d'animo, disattenda la legge e si comporti in senso opposto a quanto teorizzato nel modello.

Alla formulazione delle leggi economiche si previene utilizzando sostanzialmente de differenti metodi, quello induttivo e quello deduttivo.
Il metodo induttivo procede, per così dire, dal basso verso l'alto: dallo studio della realtà fattuale l'economista ricava i postulati della legge. Così, osservando il comportamento del consumatore al supermercato lo studioso elabora la legge della domanda.
Il metodo deduttivo opera al contrario: l'economista prende le mosse da affermazioni generali per dedurre, attraverso passaggi logici, la spiegazione del fenomeno e trarne una legge. Un semplice esempio di metodo deduttivo è il sillogismo (che si fa risalire al filosofo greco Aristotele) attraverso il quale si svela un fatto in sè evidente collegandolo ad altri fatti noti. Per esempio: le imprese producono, le banche sono imprese, quindi le banche producono.

venerdì 7 ottobre 2011

Fasci di rette

Oggi durante l'ora di matematica l'insegnante ha spiegato cosa sono i fasci di rette.

In geometria euclidea un fascio di rette nel piano è l'insieme delle infinite rette passanti per un punto fissato, o anche l'insieme delle infinite rette parallele ad una retta data.


Di seguito vi riporto gli esempi dei fasci di rette che sono stati fatti alla lavagna.


giovedì 6 ottobre 2011

Calcolo del quadrato e del cubo in informatica

Oggi durante l'ora di informatica l'insegnante ha spiegato come calcolare il quadrato e il cubo in informatica.

Di seguito vi riporto l'esercizio che è stato svolto.