martedì 11 ottobre 2011

La prima fase delle rivolte

Oggi durante l'ora di storia abbiamo letto le pagine sulla prima fase delle rivolte.

Almeno fino ad oggi negli anni Ottanta del XIV secolo, però, questa confusione di linguaggi non è così evidente. Nelle rivolte che scuotono le Fiandre, la Francia, la Francia, l'Italia gli obiettivi sono di natura più immediatamente sociale e politica, e il rinvio alla spiritualità cristiana è piuttosto allusivo, quando non manca del tutto.

Le Fiandre:

è una fase, questa iniziale, nella quale le Fiandre si distinguono per una speciale irrequietezza. Nel 1323 l'imposizione di nuove tasse considerate eccessive spinge contadini e artigiani dei villaggi fiamminghi a una rivolta che dura cinque anni, coinvolgendo anche le città di Bruges e Ypres. In seguito, sono gli effetti congiunti della guerra dei Cent'anni e della depressione economica conseguente alla crisi demografica che riaccedono le tensioni, spingendo più volte, dal 1338 al 1345, e poi di nuovo dal 1377 al 1383, i cittadini di Gent ed di altre città alla rivolta, ora contro il conte, ora contro il re di Francia, di cui le Fiandre sono un feudo, ora contro i contadini che - in campagna - cercano di lavorare la lana a costi più bassi di quelli previsti dalle corporazioni artigiane cittadine.

La Francia:

intanto anche la Francia è investita da una rivolta (chiamata jacquerie, dal tipico soprannome del contadino francese: Jacques Bonhomme) che appare - a molti - assolutamente inaudita per la brutalità e la violenza che la caratterizza. Siamo all'inizio dell'estate del 1358: la guerra con l'Inghilterra è in corso da ventun anni. Il re Giovanni è stato catturato con due anni prima dagli inglesi, nella battaglia di Poitiers, e per far fronte alla situazione il reggente intensifica il reclutamento di uomini, mentre si chiedono nuove tasse e nuove prestazioni di lavoro ai contadini.
A costoro la misura sembra colma: la ribellione ha inizio nel Beauvaisis e si diffonde ad altre aree, trovando perfino appoggio presso le corporazioni mercantili parigine che, guidate dal loro capo, Ètienne Marcel, cercano di conquistarsi uno spazio maggiore nel governo della città e del regno; la sommossa rurale dura poco ma è costellata di episodi di brutale degradazione dei potenti, dei loro corpi, dei loro beni, a cui i nobili francesi rispondono organizzandosi e mettendo in atto una repressione spietata che provoca all'incirca 20.000 morti come narra Jean Froissart nelle sue Cronache. Poco più tardi anche Ètienne Marcel viene assassinato e le ambizioni dei borghesi parigini vengono messe a tacere.


L'Italia:

passano quindici-vent'anni e un'altra sanguinosa esplosione di rabbia scoppia in Italia. Questa volta la ribellione non nasce in campagna ma in città, e alla città resta circoscritta. E' il cosiddetto popolo minuto di artigiani e operai che si ribella, prima a Perugia e a Siena, nel 1371 , poi, molto più gravemente, a Firenze, nel 1378.

All'epoca Firenze è sede di numerosi laboratori che producono tessuti di lana (sono poco meno di 300 e vi lavorano all'incirca 10.000 operai). I mastri artigiani, proprietari dei laboratori produttivi, hanno diritto, insieme con mercati e artigiani di altri settori, di esprimere una loro rappresentanza al governo della città. Invece gli operai del settore laniero - chiamati ciompi, un termine dall'origine etimologica incerta - non sono organizzati in alcuna corporazione e quindi non hanno il diritto di partecipare alla vita cittadina; per questo motivo sono anche esposti a condizioni di lavoro particolarmente pesanti.
Nell'estate del 1378 i ciompi chiedono la costituzione di una propria corporazione che li tuteli e permetta loro una più diretta partecipazione alla vita politica cittadina: accogliere la loro richiesta significa democratizzare in modo piuttosto radicale l'accesso alle cariche politiche, il che, alla fine, spaventa tanto i più ricchi mercanti, quanto i padroni delle botteghe laniere, quanto i membri di altre corporazioni minori.
Costoro hanno buoni motivi per temere, poichè alla fine di luglio i ciompi riescono a imporre la costituzione di tre nuove corporazioni, di cui una per la loro categoria, la più numerosa di tutte, e altre due per i tintori e per i sarti, guadagnandosi in tal modo l'accesso alle cariche nel quadro di un nuovo ordinamento politico, molto più democratico del precedente.
Lo scontro ora si fa più duro; per reagire alla riforma politica imposta dai loro operai i maestri artigiani dichiarano la serrata, cioè la chiusura delle botteghe, lasciandoli senza lavoro e senza paga. La protesta dei ciompi diventa più veemente, fino a che, alla fine di agosto, allarmati dalla loro aggressività e dalla loro disperazione, anche gli artigiani degli altri settori si uniscono ai grandi mercanti e alle milizie cittadine nel reprimere, armi alla mano, la rivolta, che viene soffocata nel sangue. La corporazione dei ciompi viene subito sciolta.
Le tensioni continuano ancora per alcuni anni, fino a che, nel 1382, vengono definitivamente abolite anche le altre due corporazioni di nuova istituzione, per tornare alla organizzazione socio-politica precedente al 1378.

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