Le scuole economiche:
le teorie elaborate dagli economisti nel corso degli anni si sono coagulate intorno a scuole di pensiero che hanno acquistato una significativa rilevanza scientifica solo a partire dal XVI secolo. La collocazione dei vari economisti all'interno di ciascuna scuola non significa perfetta identità di vendute, completa sintonia intellettuale con i principi posti a fondamento della scuola; anzi, spesso tra gli esponenti della medesima corrente si rincontrano considerevoli divergenze di opinione.
Ripercorriamo, nei paragrafi che seguono, questa storia del pensiero economico non dimenticando di osservare come la teoria sia fortemente influenzata dalle vicende storiche, politiche, sociali, culturali e tecnologiche, a ulteriore riprova della peculiarità della scienza economica.
Il mercantilismo:
in un contesto di trasformazioni, di mutamenti economici e sociali, di espansione del commercio interpretazione e di grandi scoperte geografiche, nel XVI secolo si sviluppò la scuola economica del mercantilismo.
Per la verità, più che una vera e propria scuola fondata su rigorose e coerenti teorie economistiche, il mercantilismo racchiude l'insieme delle descrizioni empiriche dei fenomeni economici elaborate da grandi mercanti inglesi e da funzionari statali tedeschi, i quali erano mossi, nel loro studio, da concrete esigenze pratiche.
Bisogna ricordare che nel XVI e XVII secolo il potere politico dei nascenti Stati nazionali è strettamente collegato a quello economico delle grandi compagnie mercantili: va da sè che l'attenzione degli economisti fu principalmente rivolta al commercio internazionale e alla ricchezza dello Stato.
Occorre anche dire che, all'epoca, l'unica moneta accettata da tutti nei traffici commerciali era l'oro, cosicchè la quantità posseduta di quel metallo prezioso finiva con il coincidere con la ricchezza stessa.
Gli acquisti di beni provenienti da altri Stati (importazioni) rappresentavano un dato estremamente negativo per l'economia nazionale poichè andavano pagati con oro che usciva dalle casse dello Stato; al contrario i beni venduti all'estero (esportazioni) facevano affluire il metallo prezioso nel Paese.
I mercantilisti sostenevano che la ricchezza delle nazioni era fondata sulle esportazioni che dovevano di gran lunga superare le importazioni (saldo attivo della bilancia commerciale) e invocavano una politica dello Stato tesa a espandere il commercio internazionale e a favorire e proteggere le esportazioni osteggiando le importazioni (politica protezionistica).
Secondo il pensiero mercantilista, l'origine della ricchezza non risiedeva dunque nella produzione, quanto nella distribuzione, e allo Stato veniva assegnato un ruolo fondamentale in campo economico, oltre che in quello politico e sociale. Per queste ragioni i mercantilisti sostennero la politica coloniale ed espansionistica degli Stati, che permetteva da un lato di rimpinguare le riserve auree, e dall'altro offriva la possibilità di collocare i beni prodotti nelle colonie.
La fisiocrazia:
la crisi nelle monarchie assolute che si erano sviluppate nei secoli precedenti e la nascita dell'illuminismo costituiscono il presupposto storico per lo sviluppo nella Francia del XVIII secolo di una nuova scuola di pensiero: la fisiocrazia, ovvero la "superiorità della natura", dal greco physis, natura e crazìa, superiorità. Gli esponenti di questa scuola, tra cui spicca il nome di François Quesnay (filosofo e medico alla corte di Luigi XIV), cercavano principalmente di elaborare una teoria che riuscisse a offrire suggerimenti concreti per risollevare l'economia francese dalle pessime condizioni in cui si trovava sul finire del 1700.
Il pilastro centrale dell'impianto teorico di questo pensiero risiede nella particolare importanza riconosciuta allo sviluppo dell'agricoltura, unico settore in grado di creare nuovo valore, di fare ottenere un sovrappiù in relazione a quello che è stato impiegato per la produzione.
Gli altri settori lavorativi, ad esempio quello manifatturiero, non creano sovrappiù, perchè non fanno altro che trasformare un certo insieme di materie prime in prodotti lavorati.
La teoria si fonda su un modello estremamente semplificato dove per produrre un bene, ad esempio il grano, si considerava venisse impiegato solo una quantità minore dello stesso bene e niente altro. In tal modo il sovrappiù era misurato in termini di quantità di prodotto eccedente e non era necessario introdurre il difficile concetto del valore del sovrappiù, concetto che avrebbe dovuto invece impiegare ampiamente gli studiosi successivi.
La conseguenza è che lo sviluppo economico e la ricchezza nazionale si realizza solo attraverso il miglioramento delle tecniche di produzione agricola e una politica economica dello Stato a tutela e favore dei produttore agricoli. I fisiocratici sono inoltre favorevoli al libero scambio delle merci, perchè ciò avrebbe favorito le esportazioni dei prodotti agricoli francesi.
Un importante contributo di Quesnay a questa impostazione teorica fu data dal Tableau èconomique, un insieme di grafici che mostravano le relazioni esistenti tra i vari settori produttivi e le varie classi sociali per la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema economico. Il medico francese suddivise la società in tre classi distinte:
- la classe produttiva, costituita dagli agricoltori che con il lavoro creano ricchezza, determinata dalla parte di prodotto agricolo eccedente quanto loro necessario per il sostentamento e per il rinnovamento del processo produttivo (ad esempio il grano che rimane dopo avere tolto quello che serve per seminare e per far mangiare la famiglia del contadino che lo ha prodotto);
- la classe sterile, rappresentata dagli artigiani, che non creano sovrappiù ma si limitano a trasformarlo;
- la classe dei proprietari terrieri, che non svolge un ruolo diretto nell'attività economica ma percepisce, sotto forma di rendita, il sovrappiù derivante dalla produzione agricola. Essa svolge ugualmente una funzione importante nell'economia, poichè spendendo il sovrappiù per acquistare i prodotti delle altre due classi consente all'economia di rigenerarsi e svilupparsi ulteriormente.
La scuola classica:
con l'espressione scuola classica comunemente ci si riferisce alle teorie elaborate da un gruppo di economisti, principalmente inglesi, vissuti tra la fine del 1700 e la metà del 1800, che concentrò la propria attenzione sulle medesime tematiche connesse essenzialmente allo studio della produzione e della distribuzione all'interno del sistema capitalistico introdotto dalla rivoluzione industriale. I principali protagonisti di questa scuola sono Adam Smith, Thomas Robert Malthus, David Ricardo, Jean Baptiste Say e John Stuart Mill.
Per i classici la suddivisione in classi non è quella ipotizzata di Quesnay, bensì quella tipica del sistema capitalistico che vede la sussistenza di tre classi:
- i lavoratori, i quali percepiscono un reddito (salario) la cui entità è quella minima per consentire la loro sopravvivenza e quella della loro famiglia e consentire alla classe lavoratrice di riprodursi;
- gli imprenditori-capitalisti, i quali hanno il compito di organizzare la produzione in cambio di un profitto; nella concezione classica la circostanza che i capitalisti anticipano ai lavoratori i salari e i mezzi di produzione prima del conseguimento del ricavo proveniente dalla produzione, giustifica la percezione di una parte del sovrappiù detta profitto;
- i proprietari terrieri, i quali cedono i loro terreni in affitto ai capitalisti, ricevendo da questi un particolare compenso detto rendita.
A differenza dei fisiocratici, i classici ritenevano che la creazione del sovrappiù non si verificasse solo nell'agricoltura ma anche nel settore manifatturiero, e che dipendesse dal lavoro umano.
Il sovrappiù non era destinato ai lavoratori, a cui era riconosciuto solo un reddito di sussistenza, ma veniva distribuito tra imprenditori e proprietari terrieri. La crescita economica si verificava allora in presenza di un incremento del capitale anticipato dai capitalisti e della forza lavoro (che i classici pensavano dipendesse dall'incremento demografico).
Per Smith, in particolare, un forte fattore di crescita della produzione era determinato dall'accentuarsi della divisione del lavoro che, secondo l'autore, provocava benefici effetti quali un incremento della produttività del lavoro, un risparmio di tempo e condizioni favorevoli per la creazione di invenzioni utili al processo produttivo.
Nella concezione classica il sovrappiù non è più legato a un solo settore produttivo e non può essere calcolato in termini fisici, come avevano fatto i fisiocratici, in quanto alla produzione manifatturiera concorrono diversi fattori produttivi. Venne allo scopo formulata la teoria del valore-lavoro: il valore di una merce è pari alla quantità di ore di lavoro che occorrono per produrla.
Smith distingue due tipi di valore, il valore d'uso e il valore di scambio. Mentre il primo dipende essenzialmente dalla capacità del bene di soddisfare un bisogno del singolo soggetto e risente quindi della valutazione soggettiva che il soggetto compie in relazione alle sue specifiche esigenze, il valore di scambio si basa, invece, su un dato oggettivo, poichè deriva dall'offerta e dalla domanda del mercato. E' a questo secondo tipo di valore che Smith applica la sua concezione del valore-lavoro e per un chilo di pane ce ne vogliono due, il valore del pane è il doppio di quello della stoffa.
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